“Per un’economia più giusta. La cooperazione come argine delle disuguaglianze e abilitatore di giustizia sociale” Questo il titolo del seminario organizzato a Bologna dal Forum diseguaglianze e diversità, da Fondazione Unipolis, e in collaborazione con Coopfond.
Un momento di discussione aperta su una serie di proposte messe nero su bianco da un gruppo di lavoro che ha prodotto un documento di 14 pagine, reso pubblico e discusso da un’ampia platea di cooperatori e cooperatrici.
Un’occasione di riflessione e confronto su come il movimento cooperativo possa innovarsi e diventare ancora di più un veicolo di democrazia e partecipazione.
Tanti i temi affrontati. Governance, beni comuni, prospettive di genere e generazionali, economia dei diritti. Per ognuno di questi punti un team di esperti ha elaborato proposte concrete, pronte per essere prese in considerazione, rielaborate ed eventualmente sperimentate.
“Il cuore del documento che abbiamo presentato ha come scopo quello di innovare i meccanismi cooperativi per rendere la cooperazione ancora più protagonista della lotta alle diseguaglianze. In più questi meccanismi hanno bisogno di essere resi più visibili, anche agli interlocutori esterni”, ha spiegato Maria Luisa Parmigiani, direttrice della Fondazione Unipolis.
“La meno visibile eppure la più grande delle diseguaglianza è quella di genere. Una diseguaglianza che viene prima di tutti gli squilibri che si possono generare durante i processi di produzione e distribuzione della ricchezza. Per questo bisogna adottare una vera ottica di genere in tutte le nostre proposte”, ha spiegato Raffaella Palladino della coop sociale Eva. Tra le proposte discusse c’è quella di introdurre meccanismi per garantire un effettivo equilibrio di genere nella composizione dei consigli di amministrazione cooperativi. “Ma bisogna fare di più, rimuovendo ostacoli e lavorando per favorire una maggiore partecipazione delle donne”.
Simone Gamberini, direttore generale di Coopfond, ha invece sviluppato la proposta di gestione cooperativa dei beni comuni. “Si possono creare percorsi che arrivano a questo obiettivo, anche perché siamo convinti che la forma cooperativa sia la risposta migliore alle esigenze di autorganizzazione dei cittadini. Una modalità è quella della coprogettazione dei servizi, oppure della condivisione con gli enti pubblici delle modalità di accreditamento”.
“La cooperazione non deve avere un ruolo ancillare di gestore dei servizi, ma deve diventare portatrice di una costante creazione di valore sui territori. Dalla cura come prestazione bisogna passare ad un care generativo”, ha detto Riccardo De Facci, presidente del Cnca, il Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti. De Facci ha proposto il concetto di “economia dei diritti”, per porre in rilievo l’impatto non solo economico ma anche sociale dell’azione cooperativa.
Nella discussione seguita alla presentazione del testo tra gli interventi quelli di Mauro Lusetti, presidente di Legacoop nazionale; di Pierluigi Stefanini, presidente della Fondazione Unipolis e portavoce dell’Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile; e Rita Ghedini, presidente di Legacoop Bologna.
“Il tema della partecipazione è reale su questo scontiamo dei ritardi, soprattutto nelle coop con un’ampia base sociale. In questo senso strumenti di innovazione anche tecnologica potranno aiutarci a garantire e sviluppare nuove forme di partecipazione”, ha detto Lusetti per poi puntare l’attenzione sul tema dei Wbo, i workers buyout. “Non sono solo uno strumento per salvare le imprese private altrimenti destinate al fallimento, ma devono sempre più diventare uno strumento per garantire politiche attive, ad esempio attraverso il passaggio intergenerazionale”.
“La cooperazione ha una potenzialità aggregante e democratica, da questo punto di vista è e sarà un argine intelligente e trasformativo in grado di condizionare in positivo il fenomeno del digitale, che di per sé può creare grandi diseguaglianze e disagi”, ha detto Stefanini. Poi un passaggio sulla tassonomia europea. “Il movimento cooperativo potrà essere un aiuto intelligente e qualificato per chi sul mercato avrà le le risorse ma non saprà come usarle” per rispettare i paletti europei di sostenibilità, “così il movimento cooperativo potrà diventare una risorsa positiva in termini di alleanze e coprogettazione non solo per il pubblico, ma anche per tutte le imprese”.
“E’ importante ragionare su come qualificare maggiormente gli interessi diversi che possono trovare una loro rappresentanza nel modello cooperativo – ha spiegato Ghedini – Quella della governance multi-stakeholder è una proposta che ci riporta a sperimentazioni che la cooperazione sociale ha messo in pratica nel corso della sua storia. Tutte le forme cooperative devono in ogni caso trovare una migliore regolamentazione che consenta una sempre maggior apertura alla partecipazione, sia dei lavoratori che di altri portatori di interesse dei territori, così come servirà approfondire il tema della regolazione del controllo delle cooperative stesse”.
Intervento conclusivo di Fabrizio Barca, co coordinatore del Forum diseguaglianze e diversità.“Ci sono tanti segnali che ci dicono che siamo di fronte ad un bivio: da una parte una sempre più grande concentrazione economica e di potere di controllo, dall’altra c’è la possibilità che proliferino strumenti basati sul mutualismo e la fiducia. Una biforcazione che non ci consentirà di restare nel pantano e ci chiederà di scegliere. Neomutualismo, cooperative di comunità, Wbo, collaborazione di privato e pubblico sociale, tutte queste nuove forme, se scelte e sperimentate, possono farci imboccare la strada della democrazia”