Sostenibilità sociale, ambientale, economica. Per consegnare una società migliore e con meno diseguaglianze ai cittadini e alle cittadine del futuro e con un importante lavoro da fare per accorciare le diseguaglianze, migliorare ancora di più il dialogo tra istituzioni e mondo cooperativo, diffondere nella governance d’impresa una sempre più concreta cultura della sostenibilità.
Queste le idee e le proposte emerse da “Bologna-Italia Scenari di sviluppo sostenibile e contributo delle Imprese cooperative“, secondo dibattito di Bologna Si-Cura, giornata di presentazione e discussione organizzata dalla cooperazione bolognese per presentare le proprie proposte alla città di Bologna e a chi la governerà dopo il voto amministrativo del 3 e 4 ottobre 2021.
L’evento, organizzato in occasione del 22 settembre, “Giornata della Cooperazione Bolognese”, è stato promosso da Aci, l’Alleanza delle cooperative italiane, che rappresenta quasi 500 imprese associate a Legacoop, Confcooperative e Agci, con oltre 80.000 lavoratori e più di 2.740.000 soci, distribuiti nei territori dove operano le aderenti.
A discutere di sviluppo sostenibile e imprese Giuseppina Gualtieri, presidente del consorzio Impronta Etica e amministratrice delegata di Tper; Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo; Nicola Corbo, presidente de L’Operosa spa, Caterina Segata di Società Dolce, Marisa Parmigiani, direttrice di Fondazione Unipolis.
Sostenibilità, una questione d’impresa
Giuseppina Gualtieri, in rappresentanza del consorzio Impronta Etica, ha raccontato la storia del consorzio: 31 aziende associate attorno ai temi della responsabilità sociale e della sostenibilità. Cos’è la sostenibilità per queste imprese? “Non è un tema comunicativo, è un tema strategico che le riguarda a tutto tondo”, ha spiegato Gualtieri ricordando la sfida tecnologica e digitale, la necessità di diffondere la cultura della sostenibilità nella governance d’impresa, la necessità di gestire l’enorme opportunità data dai cambiamenti in atto forti di politiche chiare e coordinate, “perché le scelte regolatorie e le politiche industriali accelerano o bloccano i cambiamenti”.
A declinare nella concretezza delle scelte di una grande azienda la parola “sostenibilità” è stato Giampiero Calzolari, presidente di Granarolo. “Per noi sostenibilità vuol dire rapporto con la terra, gli animali, il territorio e i consumatori”, ha detto Calzolari raccontando la scelta di Granarolo di intervenire sul packaging dei suoi prodotti, indirizzandosi ad esempio verso carta riciclata e plastica ottenuta da materie prime non fossili. Altra innovazione quella del monitoraggio di tutte le emissioni degli allevamenti, “per dare conto di come la filiera passo passo sia capace di interpretare passo passo le direttive europee e scegliere la sostenibilità”. Che vuol dire “produrre di più, con maggiore qualità e quantità, ma con meno consumo di risorse. Meno acqua, meno chimica, meno farmaci, meno pesticidi”.
Ambiente, lavoro, innovazione
Per Nicola Corbo, presidente de L’Operosa, sostenibilità d’impresa significa prima tutto attenzione alle forme di lavoro, soprattutto quando si ha a che fare con settori ad alta intensità di manodopera. “Il lavoro deve essere dignitoso e capace di accorciare le diseguaglianze, l’occupazione invece deve essere equa e un diritto da garantire”, ha spiegato Corbo. C’è anche la sostenibilità ambientale, per questo L’Operosa ha ottenuto la certificazione Ecolabel, che incide su tutti i processi, dalla divise ai macchinari. “I nostri cantieri sono green ma ovviamente costano di più – spiega Corbo – per questo chiediamo alla pubblica amministrazione di premiare la qualità e la sostenibilità anche negli appalti”.
Caterina Segata di Dolce ha invece ricordato la “sfida della complessità“, “perché il lavoro dignitoso è collegato alla parità di genere, e alla scuola di qualità”. Elementi che si tengono assieme e che richiedono capacità di fare rete, come richiesto dall’obiettivo 17 dell’Agenda Onu 2030. Segata ha citato la vicenda del consorzio Karabak, che ha operato attraverso la leva della finanza di progetto ed è stato capace, di fronte all’obiettivo di fornire un’offerta di nidi di qualità alla cittadinanza, di riunire imprese differenti: dalle coop sociali a quelle di costruzione e di fornitura di servizi e ristorazione. Ora la sfida “è quella di accompagnare le persone che ne hanno bisogno verso percorsi di autonomia e emancipazione”, anche considerando la crisi pandemica e il precedente ciclo economico. Per fare questo serviranno “nuovi modelli di intervento da mettere in campo”.
Social impact bond e big data come come strumento di sostenibilità
La direttrice di Fondazione Unipolis Marisa Parmigiani ha invece delineato un “modello di sviluppo che vuol dire prima di tutto lavorare sull’educazione, sull’innovazione, sui percorsi di qualificazione professionale dei giovani”. Un modo per coniugare sostenibilità e innovazione, ha ragionato Parmigiani, potrebbe essere quello dei social impact bond (Sib), strumenti per finanziare interventi sociali puntando all’efficacia del risultato. Quella dei Sib è una delle proposte condivise da tutto il mondo cooperativo bolognese e inserite all’interno di Bologna Si-Cura, il documento di visione e proposta di Aci Bologna. Parmigiani ha anche lanciato una riflessione: “l’innovazione tecnologica deve essere piegata a strumento di sostenibilità, per questo la cooperazione deve tessere un rapporto con la fondazione creata dalla Regione Emilia-Romagna Ifab (International Foundation Big Data and Artificial Intelligence for Human Development). “Il lavoro è tanto, e nessuno può farlo da solo”, ha concluso Parmigiani.