Esperienze di rigenerazione urbana, capaci di ridare vita ad una parte di città prima abbandonata, di creare connessioni e nuove relazioni mutualistiche e di generare valore sociale e economico. Questo il filo rosso delle esperienze presentate nell’evento online “Rigenerazione Urbana, Rigenerazione Umana”, organizzato da Legacoop Bologna nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso da Asvis in collaborazione con Fondazione Innovazione Urbana, Fondazione Unipolis e l’Ordine degli Architetti di Bologna. Orizzonte di riferimento il goal 11 dell’Agenda 2030 dell’Onu: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”.
Spazio DumBO, Salus Space, il Passo della Barca, Spazio Battirame, Villa Celestina e Le Serre dei Giardini. Storie differenti, tutte nate a Bologna e tutte capaci di fare rivivere spazi, creare e riattivare connessioni, aprire nuovi spazi di socialità e impresa. Perché “nella rigenerazione c’è inclusione, ibridazione, la creazione di un senso del bene comune”, ha detto Simone Fabbri, responsabile area sostenibilità di Legacoop Bologna.
“Non c’è rigenerazione senza le persone, ma soprattutto la rigenerazione non la si può fare se non è fortemente legata alla partecipazione e all’espressione di bisogni”, ha spiegato Rita Ghedini, presidente di Legacoop Bologna. La sfida per il futuro sarà quella di costruire progetti e strutture in grado di creare valore nel tempo, e distribuirlo su soci e territori. Le realtà bolognesi ci danno fiducia: una generazione continua di valore sostenibile e condiviso è possibile”.
A rispondere alla domanda del come si può fare rigenerazione dal punto di vista dei progettisti degli spazi, gli architetti ad esempio, è stato Marco Filippucci, presidente dell’Ordine degli architetti di Bologna. “La rigenerazione deve avvenire attraverso la co-progettazione, altrimenti si innescheranno processi di esclusioni, come succede nei casi di gentrificazione. Invece la rigenerazione deve includere”, ha spiegato Filippucci. “C’è un altro elemento: servono concorsi di progettazione perché non sempre la stazione appaltante la rigenerazione è in grado di immaginare tutte le soluzioni. Grazie al concorso si potranno raccogliere visioni, spunti innovativi, idee differenti”.
Come si fa a lavorare sui territori? Lo hanno spiegato Luca Vandini e Anna Laura Ciampi di Kiez Agency , una cooperativa e un’agenzia che “promuove la rigenerazione urbana promuovendo processi di trasformazione dello spazio ad alta sostenibilità sociale”. “Noi non progettiamo un edificio – hanno spiegato Vandini e Ciampi – Noi creiamo e promuoviamo comunità. Più che del progetto ci occupiamo del processo. Esempi? Kiez utilizza il trekking urbano, ma anche strumenti di branding territoriale e di progettazione tattica: dalle scritte a terra a elementi urnani per creare socialità e luoghi di raduno. Infine c’è la dimensione dell’attesa. “Teniamo alta l’attenzione delle persone che dovranno vivere uno spazio di rigenerazione, così quando quello spazio sarà realmente pronto anche la comunità di riferimento lo sarà”, hanno spiegato.
Giovanni Ginocchini, direttore della Fondazione innovazione urbana, ha raccontato la visione della sua istituzione. “A Bologna ci sono spazi vuoti o sottoutilizzati consistenti, c’è una questione urbana di grande estensione. Noi lavoriamo su vari livelli ripensando il modo di rigenerare gli spazi, che al centro non dovrà avere solo la sostenibilità economica ma anche quella sociale e ambientale”. La Fondazione, ha spiegato Ginocchini, sviluppa analisi, indagini e proposte, e nello stesso tempo agisce per favorire l’empowerment dei soggetti protagonisti delle trasformazioni in atto. “Con un’avvertenza – ha concluso – Bisogna passare una visione centrata sull’uomo ad una che tiene in considerazione la natura”.
Marisa Parmigiani, direttrice della Fondazione Unipolis, ha spiegato come la sua fondazione si occupa di promuovere la rigenerazione urbana. Una funziona di soggetto abilitatore quindi. “Usiamo sempre lo strumento del bando perché serve ad essere neutrali e a cogliere le opportunità. E’ impossibile – ha spiegato – avere una visione sui fermenti che stanno avvenendo a livello nazionale”. Per questo la Fondazione Unipolis utilizza da tempo il bando Culturability, il programma nato nel 2009 “per promuovere e sostenere iniziative culturali capaci di generare innovazione in un’ottica di sviluppo sostenibile e innescare processi di attivazione comunitaria e coesione sui territori”. “La scommessa – ha spiegato Parmigiani – prima che sul cosa è sul chi, sulle persone”
Il progetto di Villa Celestina è stato raccontato da Fiore Zaniboni di Libera Bologna. “Villa Celestina è un immobile confiscato ad una persone che riciclava denaro per conto di Cosa Nostra. Oggi grazie al Comune di Bologna e a tutte le realtà che sostengono Libera è diventato uno spazio efficace e riutilizzato per fini sociali”. A Villa Celestina c’è un giardino esterno con numerose attività per il quartiere, un festival (il Presi Bene, che nell’ultima edizione ha radunato 4 mila persone), un orto sociale. Ci sono stati campi nazionali di Libera, concerti di musica classica e incontri con i cittadini. “Vogliamo che i prossimi beni confiscati siano riutilizzati più velocemente, ci impegniamo per questo”, ha spiegato Zaniboni.
A delineare lo Spazio DumBo è stato Roberto Lippi di Open Event. “Non esiste rigenerazione urbana senza rigenerazione umana – ha spiegato Lippi – In questo senso DumBo è un laboratorio, uno spazio nel quale la rigenerazione si rigenera e cambia in continuazione mettendo in collegamento creatività con impresa, arti con lavoro, intrattenimento con attività produttive, tempo libero con sport. DumBo è uno spazio che deve essere sostenibile e generare valore, che a sua volta verrà rimesso in circolo dentro lo spazio, e così via”.
Si può creare un luogo di rigenerazione urbana in periferia, in un luogo abbandonato? Dino Cocchianella del Comune di Bologna ha raccontato la storia di Salus Space, finanziato con 5 milioni di euro da parte della Comunità Europea. Un progetto che è diventato uno “spazio sperimentale, un luogo di benessere collettivo per la città, un progetto costruito con tante partnership”. Oggi a Salus Space ci sono appartamenti e alloggi per famiglie, migranti, rifugiati afghani, lavoratori. E ancora un ostello, laboratori artigianali e creativi, una locanda, luoghi di agricoltura urbana, un mercatino ogni sabato con prodotti biologici. Salus Space è ormai diventato un hub creativo per l’innovazione sociale
Joan Crous, presidente della cooperativa Eta Beta, ha parlato dello Spazio Battirame. Socialità, agricoltura, inclusione, lo spazio Battirame ha rigenerato un terreno abbandonato nella periferia di Bologna, nella Zona Roveri. “Il progetto è nato nel 2015 e ha ricostruito una casa coloniale di mille metri quadri completamente distrutta, ha riqualificato i terreni circostanti, creato 20 posti di lavoro, fatto nascere un ristorante all’aperto che questa estate ha portato al Battirame almeno 5 mila persone. “La filosofia dello Spazio Battirame assomiglia a quello dell’economia monastica medievale, e quindi economia circolare affiancata alla creazione di lavoro, visto che la coop Eta Beta è una coop sociale di tipo B”.
Ci si può occupare di un quartiere prendersi cura di un’edicola? La cooperativa urbana di comunità Il Passo della Barca ha dimostrato che è possibile. “Siamo nati come un gruppo di genitori che non voleva perdere l’edicola del nostro quartiere, destinata alla chiusura – ha raccontato il presidente della coop Antonio Cardelli – Da lì è nata un’idea di impresa che si è ispirata al modello cooperativo”. Il resto l’hanno fatto i 18 mesi di lavoro: Il Passo della Barca ha oggi 90 soci, un capitale sociale da 17 mila euro e un’edicola che sarà comprata il primo novembre 2021 e diventerà un riferimento per il quartiere, oltre che una piccola “piazza” per il reticolo di vie e parchi (ben tre) che le si sviluppano attorno.
Infine ci sono Le Serre dei Giardini, un luogo di Bologna che tiene in sé innovazione sociale e sostenibilità, persone e natura. Samanta Musarò della cooperativa Kilowatt ha spiegato il progetto. “Volevamo creare un luogo di lavoro, perché Kilowatt è una coop di lavoro. Abbiamo però deciso di farlo attraverso un luogo che avesse una valenza pubblica, perché volevamo creare valore e redistribuirlo”. Il progetto Kilowatt è nato nel 2014 su terreni e edifici di proprietà del Comune di Bologna e fino ad oggi ha creato tra l’altro un servizio educativo sperimentale, un ristorante biologico, spazi di coworking, un bar, un orto usato anche come piattaforma formativa, un modello di economia circolare che punta sul riciclo spinto e sul riutilizzo e su attività profit che finanziano i servizi offerti gratuitamente alla cittadinanza.
“C’è molto da fare per tenere unita la rigenerazione con l’intergenerazionalità, che assicura la continuità dell’esperienza cooperativa – ha concluso l’evento Rita Ghedini, presidente di Legacoop Bologna – La sfida sarà questa: coniugare la necessità di immaginare i prossimi 50 anni anche attraverso i processi di rigenerazione territoriale con la necessità di investire rapidamente i soldi del Pnrr. Una bella scommessa che riguarderà tutto noi”.