Qual è stato l’impatto dello shock pandemico sui processi di digitalizzazione delle imprese? Per rispondere, la ricerca “Le vie della digitalizzazione. Le strategie delle imprese attraverso e oltre la crisi Covid-19”, promossa da Fondazione Unipolis e condotta da un team di ricercatori di Pandora Rivista, approfondisce le strategie messe in campo dalle aziende per affrontare le sfide sollevate da un nuovo approccio al digitale, partendo dal periodo pre-Covid-19 per arrivare agli scenari futuri.
L’indagine, di tipo qualitativo, è stata svolta attraverso un’analisi di contesto e un confronto tra teorie e prassi rilevate attraverso interviste a sei grandi imprese del territorio emiliano-romagnolo. Il 26 gennaio, online e in presenza presso la Sala Conferenze del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, si è tenuto un confronto sul tema a partire dai risultati emersi, con il contributo di esperti e rappresentanti delle imprese coinvolte.
La pandemia: una rivoluzione o un acceleratore di un processo già in atto?
Quanto è stata dirompente la pandemia nel processo di digitalizzazione? Quanto invece ha semplicemente accelerato una tendenza che era già in essere? È la domanda che si pone Marisa Parmigiani, direttrice della Fondazione Unipolis: “Con questa indagine, abbiamo intervistato imprese diverse per settore, per livello di digitalizzazione, e anche per il modo in cui sono state colpite dalla pandemia”, spiega. “Abbiamo fatto un approfondimento che, partendo da un’analisi teorica, si sposta sul piano pratico, per capire l’effettivo impatto di una crisi epocale come quella del Covid-19 sulla trasformazione delle aziende nella direzione del digitale”.
È stata una ricerca applicata, quindi, che ha indagato fenomeni concreti che hanno un impatto evidente sulla vita delle aziende. “La digitalizzazione nelle imprese è sempre stata considerata importante, ma non ci si credeva fino in fondo”, afferma Stefano Quintarelli, presidente dell’Advisory group on advanced technologies delle Nazioni Unite e presidente dello Steering Committee dell’Agenzia per l’Italia Digitale. “Mancava infatti una reale interiorizzazione del significato della digitalizzazione: la pandemia ci ha costretto a farlo. Siamo stati obbligati a fare un corso accelerato, e tante ritrosie che c’erano hanno dimostrato di essere prevalentemente culturali: imbarcavamo acqua e dovevamo nuotare. Le società progrediscono grazie alla tecnologia: dal fuoco in poi è sempre stato così. Il digitale è una general purpose technology: è futile tentare di resistere, la ricerca va avanti, l’elettronica va avanti, l’intelligenza artificiale va avanti”.
Secondo Quintanelli, la politica dovrà essere in grado di capire e indirizzare i cambiamenti profondi che portati dalla digitalizzazione, e gli effetti sulla società e sull’economia. È una cosa che in parte si sta già facendo: pensiamo alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, alla sicurezza, alle regole sull’uso dei dati e sulla privacy. “Tutto ciò avviene in un momento in cui il mondo è sotto pressione, perché le risorse naturali sono sempre più scarse: il digitale aiuta moltissimo a ottimizzare i processi e migliorare la sostenibilità delle produzioni. Non esiste sostenibilità senza digitalizzazione”.
E allora, oltre alla politica, anche le aziende devono correre, perché questi cambiamenti avvengono a velocità crescente. “Queste tecnologie dispiegano effetti con una velocità e una scala enormemente superiori rispetto a un tempo”, continua Quintarelli. “La sfida per le aziende è di saper interiorizzare, capire, valutare, separare la farina dalla crusca, distinguere ciò che è passeggero e ciò che durerà nel tempo”.
La digitalizzazione, del resto, ha investito tutti. In primis, il consumatore, che sempre più utilizza il digitale come interfaccia-utente della dimensione materiale del mondo. Tutte le attività che prima si svolgevano in modo materiale, infatti, oggi si compiono in maniera digitale: pagare una multa, fare un acquisto, ritirare un referto, acquistare un biglietto aereo… E poi, le imprese: l’intelligenza artificiale, i big data e l’internet delle cose diventano un lubrificante del processo produttivo aziendale. Infine, i fornitori, anche se “un sistema più integrato e ottimizzato, con tempi molto più brevi come quello digitalizzato, è più fragile in caso di crisi, perché ci sono meno reti di salvataggio, meno margini che consentono di fare i conti con eventuali problemi”, conclude Quintarelli.
Digitalizzazione e imprese del territorio: quali vie sono state (e saranno) percorse
La ricerca “Le vie della digitalizzazione” è suddivisa in una parte teorica e una parte empirica, con l’analisi concreta di sei casi studio di imprese del territorio emiliano-romagnolo: Cadiai, CAMST, CNS, Coop Alleanza 3.0, Granarolo, TPER. Aziende per le quali la digitalizzazione è strategica, e che hanno una particolare attenzione al tema della sostenibilità. “La crisi della pandemia è stata un prisma, un punto di osservazione da cui guardare strategie che in parte preesistono, in parte vengono elaborate ex novo”, spiega Giacomo Bottos, direttore di Pandora Rivista e coordinatore del gruppo di ricerca. “In ogni caso, la pandemia è un catalizzatore, che ha portato alla decisione di proseguire in maniera più intensa su binari già tracciati, oppure alla possibilità a riflettere in maniera critica sui limiti della digitalizzazione stessa”.
Un processo epocale, quindi, e allo stesso tempo una sfida ineludibile con la quale non si può non misurarsi. “Abbiamo voluto enfatizzare il fatto che ci sono tante strade per usare il digitale, ecco perché abbiamo usato il plurale ‘le vie della digitalizzazione’. Ciascuna azienda, per applicare al meglio la digitalizzazione, dovrebbe trovare la sua maniera”.
Nell’indagine, sono state scelte imprese che non hanno la tecnologia nel proprio core business: la digitalizzazione diventa allora un mezzo per affrontare determinati problemi, non il cuore dell’attività. “Non è detto che le tecnologie da utilizzare siano le stesse per tutti”, continua Bottos. “Il concetto di maturità digitale non si valuta dall’aver adottato questa o quella tecnologia, ma dall’aver valutato quale tecnologia digitale integrare in base a una strategia dove non solo il management, ma tutta l’impresa è coinvolta nel cambiamento. Bisogna trovare il modo per superare il digital divide e diffondere questa conoscenza: il digitale comporta un carattere trasformativo di tutta l’impresa, che richiede una grande consapevolezza, sia da parte dei vertici, sia da parte della base societaria”.
Il digitale porta con sé potenzialità ma anche criticità. A partire dal tema, tanto dibattuto, dello smart working: se da un lato c’è una opportunità di maggiore responsabilizzazione del dipendente, dall’altra si pone il problema del controllo e della fiducia. Gli strumenti digitali hanno permesso anche una maggiore partecipazione, ad esempio alle assemblee. Al tempo stesso, però, questa digitalizzazione forzata portata dal covid, ha fatto comprendere il grande valore della presenza per la costruzione di relazioni di fiducia, ma anche per stimolare la creatività.
“Siamo davanti a processi molto complessi e delicati, che necessitano di strategie specifiche per essere affrontati”, conclude Bottos. “Non ci si può improvvisare. Bisogna trovare un modo di valorizzare gli aspetti positivi del digitale, riuscendo a mantenere quei momenti in presenza che permettano uno sviluppo positivo dell’impresa. È questione di trovare il punto giusto di equilibrio”.
Tper, la digitalizzazione al servizio della mobilità sostenibile
Tra gli interlocutori che hanno preso parte al dibattito c’è Giuseppina Gualtieri, presidente di TPER, che racconta come la digitalizzazione sia al tempo stesso uno strumento fondamentale per la competitività, e anche per la sostenibilità. “Il digitale è per noi un tema strategico già dal 2015: in tutti questi anni abbiamo cercato di integrare nuovi strumenti in maniera graduale. Il Covid è arrivato con un impatto pazzesco, ma l’azienda era preparata: nel giro di pochi giorni abbiamo avviato lo smart working, che era già stato regolato nel 2019”. La digitalizzazione è stata sviluppata anche nel rapporto con l’utenza, ponendo al centro la riflessione sul mobile ticketing: per fare il biglietto direttamente dallo smartphone, prima c’era la app Mover, poi Roger. “Non solo: la verifica dei titoli di viaggio a livello digitale fa sì che i controllori siano tutti dotati di tablet”, continua Gualtieri. “La digitalizzazione ci ha anche aiutato a tenere sotto controllo l’affollamento dei mezzi ed evitare i focolai: la app Roger informa l’utente comunicandogli il grado di affollamento del mezzo in arrivo. Oggi siamo immersi nel dibattito sulla mobilità sostenibile, e portiamo avanti processi di innovazione che vanno anche oltre al digitale: pensiamo all’elettrico, all’idrogeno… stiamo cercando di capire come le nuove tecnologie (che già esistono) possono entrare nella vita delle imprese come driver di competitività. Dobbiamo essere noi a ideare strumenti digitali che garantiscano la qualità dei dati e l’accessibilità a tutti gli utenti. Se non lo facciamo, qualcun altro lo farà per noi”.
Cadiai, nella cura il digitale non basta
In altri settori, invece, allo scoppio della pandemia il digitale ha aiutato sì a portare avanti le attività, ma ha anche mostrato tutte le sue fragilità. Franca Guglielmetti, presidente di Cadiai, ha raccontato che il 23 febbraio 2020 è stato per la cooperativa un giorno decisivo: “Dovevamo decidere se le colleghe che lavorano nei nidi dovessero andare o no a lavorare. Da un lato era stato decretato che gli asili dovessero chiudere, dall’altra parte le famiglie avevano bisogno del servizio. È stato l’inizio di un processo di rivoluzione violenta del settore sociale in cui operiamo”.
Grazie alle tecnologie, i servizi sono comunque riusciti a mantenere un contatto con le famiglie durante il lockdown, creando contenuti che hanno aiutato a intrattenere e ridurre il senso di isolamento dei bambini. E poi c’erano gli anziani e le persone con disabilità nei centri, che erano rimasti chiusi dentro e che non avevano contatti: “Le tecnologie ci hanno permesso di mantenere un rapporto con loro, anche se sono state un palliativo a volte molto flebile”, spiega Guglielmetti. “Noi siamo una cooperativa sociale con 1.600 lavoratori. I processi di digitalizzazione ci possono aiutare a tenere insieme la nostra attività, ma la nostra caratteristica è la cura: in questo settore, il digitale non basta”.
Adesso Cadiai sta andando avanti con la digitalizzazione dei processi organizzativi interni e dei servizi, dando grande importanza all’internet delle cose, che ha un forte impatto sull’assistenza domiciliare: pensiamo alla domotica o al controllo da remoto dello stato di salute di una persona anziana o con disabilità. “Contemporaneamente, dobbiamo fare attenzione a mantenere la qualità del lavoro”, conclude Guglielmetti. “In questo, il tema pedagogico e educativo è centrale: i bambini sono sì nativi digitali, eppure da piccoli sviluppano le capacità cognitive attraverso il movimento. C’è bisogno dell’esperienza, di muoversi, di toccare, di manipolare: in questo l’immersione nel mondo digitale può costruire un grande limite. Stessa cosa vale per le competenze sociali ed emotive che si sviluppano nella relazione: gli adolescenti oggi hanno sempre meno esperienza su questo”.
Camst, la crisi utilizzata per trovare nuove risposte
Una cooperativa solida, con 12mila dipendenti, e clienti che vanno dalle scuole alle imprese, fino agli ospedali. È Camst, il cui presidente Francesco Malaguti racconta: “Ci sembrava impossibile che tutto chiudesse, e invece a marzo 2020 è successo. Così, si è fermato anche il nostro lavoro. All’inizio del lockdown il digitale è stato fondamentale: abbiamo usato WhatsApp per comunicare, e questo ci ha salvato. Dopodiché abbiamo utilizzato la crisi per trovare nuove risposte, come ad esempio per portare avanti il progetto di una app con cui comunicare direttamente con i nostri soci e i nostri clienti. Abbiamo capito che bisognava togliersi tutta la polvere e gli alibi di dosso”.
Nel 2020, Camst ha riscritto il proprio piano strategico: “Abbiamo studiato il mercato e invitato esperti a contaminarci in maniera decisiva”, spiega Malaguti. “Il nuovo piano strategico ha messo in luce tutte le problematiche che c’erano. Al centro c’è la sostenibilità e l’attenzione alle comunità”. Oggi le video call sono diventate il nuovo pane quotidiano dell’impresa, così come il coaching è uno strumento fondamentale. “Da poco abbiamo fatto una call4innovation per trovare nuove idee per innovare il nostro lavoro. La risposta è stata stupefacente, e così abbiamo deciso di potenziare il rapporto con le start up. È una delle tante risorse che la digitalizzazione ci ha permesso di esplorare”.