Come migliorare l’offerta educativa in città? Che supporto dare agli anziani direttamente nelle loro case? Quali strategie utilizzare per combattere lo spreco di latte? Sono queste le sfide che le cooperative di Legacoop Bologna hanno lanciato ai giovani selezionati per Open Innovation, il nuovo programma strategico di AlmaCube in partnership con l’Alma Mater Studiorum.
Venti studenti d’eccellenza tra ingegneri, designer, economisti, scienziati, giuristi, medici e umanisti, sono stati selezionati per partecipare al programma internazionale CBI-ER (CERN Challenge Based Innovation Emilia-Romagna), svolto dall’Università di Bologna insieme all’Università di Modena e Reggio Emilia e all’Università di Ferrara.
I ragazzi hanno formato team interdisciplinari insieme ad altri studenti di atenei nazionali e internazionali, per trovare risposte alle sfide messe in tavola dalle imprese sponsor, tra cui anche l’associazione Legacoop Bologna, che ha chiesto di ideare soluzioni innovative per rispondere ai propri bisogni. Tre gli ambiti su cui lavorare: l’housing, l’economia circolare e l’educazione.
“Abbiamo scelto di sostenere l’Open Innovation Program per rafforzare la connessione tra le imprese cooperative del territorio e gli studenti”, spiega Rita Ghedini, presidente di Legacoop Bologna. “Uno dei principi fondanti della cooperazione è quello dell’intergenerazionalità: da sempre l’attenzione verso le giovani generazioni è di vitale importanza per il mondo cooperativo. Questo progetto ha creato opportunità per le cooperative per risolvere problemi, scambiare idee e trovare nuove soluzioni; per gli studenti per realizzare progetti, sviluppare capacità imprenditoriali e venire a contatto con nuove opportunità di lavoro; e per Legacoop stessa, per diffondere la cultura cooperativa in contesti di alta formazione e ricerca”.
Le tre sfide
All’interno del progetto Open Innovation, la cooperazione ha lanciato tre sfide agli studenti:
- Come migliorare la vita degli anziani nelle loro case?
- Come combattere lo spreco di latte?
- Bologna città che educa
Da ottobre scorso, gli studenti hanno lavorato intensamente, cominciando dallo studio di contesto e da interviste ai soggetti coinvolti, passando a proporre idee e elaborare proposte, fino a realizzare prototipi complessi che potrebbero dare risposte concrete al tessuto economico e sociale emiliano-romagnolo.
Gli studenti dell’Open Innovation Program ospiti al CERN di Ginevra.
Come migliorare la vita degli anziani nelle loro case? La risposta è Magna
Il 23 ottobre, a San Lazzaro di Savena, un’anziana chiama i carabinieri. Quando arrivano, la donna li accoglie con caffè e biscotti: non aveva bisogno di aiuto, semplicemente si sentiva sola.
“La solitudine è un problema che tocca moltissimi anziani”, commenta Valentina Roda, studentessa di Innovation design dell’Università di Ferrara e membro del team ageing. “In Italia, 1,13 milioni di persone con più di 75 anni non vede nessuna faccia amica in tutto l’arco dell’anno. Come gruppo, abbiamo constatato che sul territorio ci sono molti servizi che si occupano della salute fisica degli anziani, mentre pochi offrono un aiuto psicologico. L’anziano è una persona molto fragile e spaventata da tutto ciò che è sconosciuto, così ci siamo chiesti: come possiamo rispondere alla loro necessità di relazioni? La risposta l’abbiamo trovata nel cibo”.
Magna è infatti un servizio di condivisione del pasto, una piattaforma per far incontrare universitari fuori sede con anziani soli, attorno a una tavola imbandita. In questo modo entrambi ne traggono vantaggio: lo studente che mangia qualcosa di buono, ma anche l’anziano che chiacchiera e fa amicizia.
“Il pasto è culturalmente un momento di condivisione, in Italia: il cibo è fondamentale per le connessioni sociali e per il senso di famiglia, ma anche per la salute”, continua Valentina. “E poi, tradizionalmente a Bologna tra studenti e anziani non scorre buon sangue. La nostra piattaforma è un bel modo per far incontrare le due ‘fazioni’ e farle dialogare, aiutandosi l’un l’altra”.
Magna prevede due formule: “Adotta uno studente”, in cui il pasto è cucinato a domicilio dall’anziano, oppure “Pranzo e studente a domicilio”, dove il pranzo viene consegnato a casa dalle cooperative che seguono già l’anziano come utente.
Dopo la conclusione del progetto Open Innovation, i ragazzi si sono attivati per portare avanti l’idea e trovare il modo per realizzarla: oggi stanno lavorando in sinergia con il Comune di Bologna, con Legacoop Bologna e con le cooperative che ne fanno parte, in particolare Cadiai, Dozza, Auser, Ansaloni, Società Dolce, Banca Etica e Piazza Grande, per iniziare una fase di sperimentazione.
“Quando abbiamo fatto i test di prova, abbiamo messo i volantini in giro per la città e un uomo anziano, molto solo, ci ha chiamato”, conclude Valentina. “È stato bello conoscerlo. Avrebbe potuto chiamare i servizi sociali o la polizia, invece ha chiamato noi”.
Bologna città che educa: la risposta è Caleido
“Il mondo dell’educazione è molto ampio e complesso, e noi inizialmente abbiamo avuto un approccio ingenuo”. A parlare è Chiara Cenerini, studentessa della laurea magistrale di economia GIOCA – Innovation and organisation of culture and arts dell’Università di Bologna, e membro del team education. “La prima grossa differenza di cui ci siamo resi conto è quella tra il mondo educativo formale e quello informale: da un lato la scuola, dall’altro le attività extrascolastiche”.
Facendo un’analisi del contesto, il team ha scoperto una varietà ampissima di attività formative offerte da realtà sul territorio, peculiarità specifica dell’Emilia-Romagna. “Abbiamo scelto di valorizzare quello che già c’era: le scuole non possono insegnare tutto, e molte competenze vengono trasmesse ai bambini attraverso attività extracurriculari. La parola chiave è educazione informale”.
Così nasce Caleido, servizio di aggregazione dell’offerta formativa extrascolastica per bambini dai 6 agli 11 anni, pensato in un sistema integrato con le scuole, i genitori e il Comune. “Parlando con le famiglie, ci siamo resi conto che per le attività extrascolastiche i genitori sono disorientati e fanno scelte legate alla quotidianità”, continua Chiara. “Così però rischiano di limitare il ventaglio di scelta del bambino, pensando di sapere già quello che vuole. La piattaforma risponde quindi a un effettivo bisogno: quello di orientarsi e trovare per il bambino l’attività giusta, adatta proprio a lui”.
Caleido mette insieme famiglie, scuole, organizzazioni e Comune, con l’obiettivo di creare sinergie, valorizzare le risorse del territorio e coinvolgere attivamente la comunità educante. “Per ora il progetto è in attesa di proseguire”, conclude Chiara. “Uno di noi si sta occupando di valutare i potenziali sviluppi, e si sta interfacciando con i referenti di Legacoop per capire l’effettiva fattibilità”.
Come combattere lo spreco di latte? La risposta è Lacktopus
Il tema dello spreco alimentare è oggi molto attuale, e cosa dire dello spreco di un bene essenziale come il latte? Ogni anno nel mondo vengono buttati via 116 miliardi di kg di prodotti caseari.
“Per affrontare il problema dello spreco del latte, all’inizio abbiamo intervistato le aziende produttrici, i distributori, i bar e i consumatori finali”, racconta Paolo Cavicchioli, studente di matematica dell’Università di Modena e Reggio Emilia e membro del team lack. “Da loro abbiamo raccolto informazioni molto contrastanti, e così abbiamo capito che avevano tutti una visione parziale e un’immagine sbagliata del comportamento delle altre parti, perché tra loro non c’era abbastanza dialogo”.
Per rispondere al problema, il gruppo ha ideato la piattaforma Lacktopus, pensata per ridurre gli sprechi nella filiera del latte, in collaborazione con Granarolo, Coop Alleanza 3.0, Camst e altre cooperative associate a Legacoop Bologna. Il principio base è la cooperazione tra le parti, che passa attraverso la condivisione di dati e informazioni che potrebbero essere utili per gli altri segmenti della filiera. Interviene poi un algoritmo progettato appositamente, che elabora i dati e individua il miglior piano di produzione e vendita.
“Abbiamo capito che il modo più utile per risolvere lo spreco del latte era minimizzarlo in partenza”, continua Paolo. “Il sistema che c’è adesso è come se avesse la febbre e non volesse curarla: non fa altro che andare avanti con lo spreco, aumentando così il costo di produzione e il prezzo di vendita. Invece, minimizzando gli sprechi otterremo benefici in primis sulle tasche del consumatore e poi per l’ambiente, con minori emissioni di CO2 e minor utilizzo di risorse naturali”.
E anche quando non si riesce a evitare lo spreco, il team ha pensato a un modo innovativo per riutilizzare i prodotti scaduti o in scadenza: le colture cellulari. Si tratta della coltivazione di cellule in un ambiente artificiale, che simula le condizioni in vivo, utilizzata nell’industria farmaceutica, cosmetica, diagnostica e in diversi campi di ricerca (oncologia, immunologia, metabolismo cellulare…)
“Al momento per le colture cellulari tutti usano il siero bovino, che viene dal sangue delle mucche; nessuno usa il siero di latte”, spiega Paolo. “Eppure, un litro di siero bovino costa da 200 a 400 euro, mentre un litro di siero di latte costerà molto meno”.
Oggi il team sta portando avanti l’idea della piattaforma Lacktopus con l’aiuto di Legacoop Bologna e delle sue associate, in particolare Granarolo e con Coop. Anche la ricerca sulle colture cellulari vorrebbe proseguire: i primi esperimenti sono stati messi a disposizione gratuitamente dall’Università di Modena e Reggio Emilia, grazie al lavoro del professor Alexis Grande e del suo team. Oggi insieme a Unibo e Unimore si stanno cercando nuovi finanziamenti per portare avanti il progetto.